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Quando ho iniziato a lavorare a *Paesaggio traverso*, avevo negli occhi e nelle mani la memoria visiva delle rocce stratificate di Capo Verde: superfici spezzate, colori ossidati dal tempo, pieghe che sembrano raccontare storie geologiche e interiori allo stesso tempo. Quelle rocce, segnate dal vento e dall'oceano, mi sono apparse come metafore vive del nostro paesaggio emotivo: mutevoli, frastagliate, profondamente autentiche.

Ho voluto che il **telaio** non fosse solo un supporto, ma parte integrante dell’opera. Un intreccio rigido e obliquo, quasi come una gabbia o una griglia da cui emergono frammenti, lacerazioni, strappi di memoria e materia. I materiali si sovrappongono, si scontrano, si lasciano attraversare da vuoti e tensioni, come se ogni pezzo volesse affermare la propria storia.

Durante la fase di studio ad acquarello (che è stata fondamentale per sciogliere la forma, per farla fluire), ho sperimentato il colore come emozione: il viola come introspezione, il giallo come vitalità pulsante, il nero come ferita antica. Ma solo nella tridimensionalità della tela ho sentito il paesaggio davvero “attraversato” – non rappresentato, ma vissuto.

Ogni fibra, ogni tessuto incollato e poi lacerato, ogni filo tirato o lasciato sospeso… sono i miei tentativi di dare forma a qualcosa che vive dentro, che affiora solo quando riesco a lasciarmi attraversare anch’io da ciò che osservo.

In questo lavoro non ho cercato la bellezza nel senso canonico, ma la verità di una materia viva, imperfetta, vibrante. Ecco perché il paesaggio è “traverso”: perché non è lineare, né semplice. È obliquo, sfidante, sincero. Come l’anima.

Aggiunto il 10 apr 2025

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